Non so perchè…sono tornata da “quel viaggio” e volevo scrivere subito, condividere quell’esperienza che non ha un aggettivo adatto che la descriva precisamente, ha un nome di località. Ma lascio passare i giorni ed i mesi perchè voglio far decantare tutto ciò che può condizionare il mio pensiero e quanto scrivo. E’ un’esperienza personale ed anche intima, tanto da non sapere nemmeno se effettivamente condividerla sul web. Ma decido di si perchè fa bene a tutti. E’ uno di quei viaggi che chiamo “viaggi dell’anima”, alla ricerca di verità, di risposte, di pulizie interiori, di qualcosa di ancestrale. Quei viaggi che arrivano in un dato momento. Non ti danno divertimento ma profonda gioia. Il nome è Medjugorie.
Avendo la possibilità di viaggiare, non è una tappa che avrei messo nelle priorità, avrei desiderato vedere altri posti nel mondo prima. Ma c’è il momento in cui hai un’unica moneta in tasca ed è per questo viaggio!
L’occasione si è presentata come fosse la cosa più ovvia che dovessi fare in quell’istante. Una piccola valigia e parto con altre otto persone sconosciute. Sono uscita dalla porta di casa ed ho lasciato il primo “vestito”, quello dell’angoscia quotidiana; partita all’alba ho aperto gli occhi ad un nuovo sole, disponibile a vedere le cose in altro modo. Le tappe: partendo da vicino Trieste, la mia città natale, faccio un tragitto di riflessioni…cosa mi aspetto? parto da dove nasco verso la rinascita? mah, forse eccessivo. Sei ore di viaggio attraverso la Croazia e parte del suo incantevole lungomare per arrivare ad affacciarci a quella piana tra i Balcani, un confine dettagliato con un territorio ferito da una guerra assurda e fratricida che impressiona sapere esserci stata. Bosnia-Erzegovina, una piccola dogana dove passi in silenzio sorridendo ad una guardia che, sappiamo bene, cerca qualche “souvenir” italiano da potersi tenere, qualsiasi cosa. Facce senza tempo, come in un film degli anni ’50.
Mi distraggo dal mio “viaggio verso”…verso che cosa? Fotografo tutto ciò che mi circonda per non perdere ogni simbolo, ogni segno. Pur essendo in compagnia di allegri viaggiatori, ho apprezzato la mia solitudine interiore, isolandomi nel mio osservare, nel mio considerare, nel mio voler comprendere libera da dogmi e condizioni. Entrando in questo piccolo villaggio ho lasciato il secondo “vestito”, quello del giudizio, o meglio del pregiudizio. E’ difficile per una persona come me, una sociologa che cerca di capire il fatto umano, osservare una massa, una moltitudine, una platea, una comunità credente, mescolandomi e volendone far parte per ricevere il Meglio. Eppure l’ho fatto, non per imitazione ma per voglia di consapevolezza. Ho lasciato l’imbarazzo, con la chiara idea che nonostante un’educazione religiosa ricevuta, è ad un certo punto della vita che si vuol ricevere e non criticare. E’ con la maturità, con la libertà di pensiero proprio, che ci si arrampica su quelle sassaie al chiaro di luna sul monte Podbrdo.
Su quel monte, da cui tante granate sono state lanciate dalla milizia locale durante le guerre jugoslave, regna quell’immagine che controluna mi ha incantata, ha reso silenzio alla mia mente, ha sostenuto il mio cuore lenendo il mio dolore umano. Mancava la mano giusta forse…La Madonna. Grazia imponente sull’anima, dolcezza materna sul senso del perdono e della protezione.
E’ stato quello il momento più bello, emozionante, libero, silenzioso…la sera stessa dell’arrivo, dopo aver già sentito un brivido con i canti del rosario che echeggiavano sulla piazza della chiesa tra le ombre di una notte limpida e piena di stelle. Suoni che ammorbidiscono, che accompagnano.
Ecco che Medjugorie va vissuta una volta nella vita, al di fuori degli schemi quotidiani, con la propria anima tenuta tra le mani, con consapevolezza della propria esistenza. Tutto viene messo in dubbio, osservavo le cose per me più fastidiose eppure normali nei luoghi di culto. La devozione inconsulta ai limiti del fanatismo, i mille negozietti di oggetti religiosi da far benedire, le interminabili preghiere, gente che si sbuccia piedi e ginocchia per salire il monte Križevac chiedendo un perdono a Dio. Forse cose che nemmeno Dio ha mai chiesto ai cristiani. Le parole della veggente Vicka Ivanković, ingenue e dolci che tengono a bada una grande folla in devoto silenzio, avvolta da un sole ed un cielo inimmaginabili rispetto alle nubi in cui siamo solitamente.
Ci si muove in mezzo a migliaia di pellegrini, sacerdoti di tutto il mondo, tutti incantati e con gli occhi al cielo cercando dei segni. Nuvole, sole, forme in movimento, ognuno riesce a trovare il suo personale segno. Questo, in un villaggio che in pochi anni dopo la guerra ha conosciuto il boom economico. Dicono che siano più di un milione i pellegrini che annualmente visitano i luoghi delle apparizioni mariane.
E tutto questo sconvolge. Come la camminata tra le vie dei quartieri cristiano e musulmano di Mostar, fatti di mercatini, di palazzi bucati dai bombardamenti; mi soffermo con emozione di fronte alla lapide dei tre giornalisti italiani ammazzati nel cortile di una palazzo per soccorrere un bimbo e portarlo nel bunker. Sul fiume Narenta è stato ricostruito il vecchio ponte, da cui il nome della città, Stari Most, sponsorizzatoda Carlo d’Inghilterra, che congiunge i due quartieri. Da quel ponte i ragazzi si tuffano per offrire spettacolo ai turisti, nonostante il freddo e racimolare qualche soldo. Oltre all’antica influenza ottomana invece sono forti i segni di quella guerra tra il ’92 e 94′ e su quella medito.
Ma bisogna sganciarsi da tutta questa visione. Ritorno ai piedi di quella sacra Statua, ancora imponente sulla valle, illuminata da una nuova luna. Devo frenare il mio cervello, rilassarlo e lasciarmi guidare dal silenzio. Imparare la preghiera vera. E’ la stessa preghiera sicuramente che uno può provare difronte alle meraviglie del mondo, in altri luoghi e momenti. Paesaggi incantevoli, la nascita di un figlio, la solitudine in cima ad una montagna, l’appiglio nei momenti di disperazione o dramma.
Ma a Medjugorie si aggiungono dei “segni non-segni”. La magia di un posto designato e di cui la Chiesa non esprime precisa posizione. “non constat de supernaturalitate” (trad. non risulta essere soprannaturale).
Non ci sono certezze ma un senso di serenità profondo mi riporta a casa, certa dei miei valori e consapevole del mio viaggio.
Da…qui ed ora.